RestauriBevilacqua di Francesco Bevilacqua


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Cenni Storici

ARTE e STORIA

Se verso la metà del XVI trarre calchi in gesso da originali scultorei era impresa estremamente complessa e dispendiosa, col XVII e XVIII secolo tale pratica divenne comune. Fin dall'epoca del Primaticcio - che tra il 1540 e il 1543 aveva procurato a Francesco I re di Francia non meno di 125 calchi di statue antiche, cavandone poi le repliche in bronzo per la residenza reale di Fontainebleau - ci si rivolgeva sopratutto alla statuaria antica greca e romana (o considerata tale) come modello insuperabile di bellezza e armonia. In tal senso Roma era il centro degli interessi dei collezionisti e degli antiquari, sia per il continuo succedersi, dal XVI secolo in poi, di eclatanti scoperte di staue, rilievi e quant'altro affiorava dalle non sempre sistematiche «campagne» di scavo, sia per il contemporaneo formarsi di cospicue collezioni di scultura, prime fra tutte quelle dei Farnese, dei Medici, dei Borghese e dei Ludovisi. In particolare lo scavo sistematico delle rovine di Villa Adriana a Tivoli, intrapreso nel corso del XVIII secolo, portò a scoperte sensazionali, che resero ancora più frenetico il mercato antiquario delle statue e degli oggetti antichi.

Per servire il mercato dei calchi e delle copie tratte da essi, sorsero a Roma botteghe specializzate di formatori, come quella dello scultore Bartolomeo Cavaceppi, primo restauratore del Papa e copista, o quelle di Luigi Valadier e del suo allievo e rivale Francesco Righetti. Particolare è il caso di Firenze, dove la collezione di scultura, che dalla fine del XVII secolo sarebbe stata ospitata nella Tribuna degli Uffizi, venne a formarsi per il progressivo trasferimento nella città della formidabile raccolta di sculture antiche che la famiglia Medici possedeva nella villa romana sul Pincio. Con l'arrivo di pezzi illustri - come il «Gruppo della Niobe» o la «Venere de' Medici» - la collezione fiorentina giunse a tale importanza che anche in questa città si moltiplicarono le botteghe di formatori, non più costretti a cercare a Roma i modelli per una produzione sempre più vasta di copie.

In questo processo, il gesso restava il punto di partenza obbligatorio per il copista, il «testo» cui restare fedeli o su cui provare le varianti che il gusto del copista o del committente suggerivano. D'altronde, la sempre maggiore consapevolezza filologica negli intellettuali e nei viaggiatori più accorti aveva già risvegliato il sospetto che il fenomeno delle «copie» non fosse inedito, ma che fosse già esistito nell'antichità.

C'era quindi ragionevolmente da dubitare che il corpus delle «statue di Roma» fosse costituito di originali; piuttosto si aveva a che fare in larga misura con delle copie d'età romana di originali greci perduti.

In questo nascente dibattito s'inserì lo studioso tedesco Johann Joachim Winckelmann il quale, pur avendo una conoscenza limitata di pezzi scultorei autenticamente greci e operando quindi una distinzione forzatamente imperfetta tra «greco» e «romano», tentò di caratterizzare stilisticamente l'evoluzione della scultura greca dall'arcaismo della decadenza dopo la conquista persiana, attraverso un'analisi minuziosa delle singole parti di ogni figura. La moda settecentesca di una lettura quasi «tipologica» di ombelichi e capezzoli, narici e ginocchi nella statuaria antica fu favorita anche dalla circolazione di calchi in gesso che riproducevano singole parti di una statua.

All'interesse per le possibilità di lettura che il gesso offre, tra la fine del Seicento e la metà del Settecento si aggiunse anche il valore documentale; quando la statua antica era stata danneggiata dopo che se ne era fatto il calco, quest'ultimo restava come unica prova documentaria dello stato precedente e spesso costituiva lo strumento critico per gli interventi di integrazione e restauro. Del resto, fin dalla fine del XVII secolo si era fatta strada in molti autori la coscienza del valore didattico del calco in gesso, come strumento indispensabile di studio e di affinamento del gusto estetico, quale nessun'altra esperienza artistica era in grado di garantire. Tutti i teorici dell'arte del Settecento si soffermano sulla validità del metodo di apprendimento artistiche da copie in gesso.

Ciò che muta all'alba dell'Ottocento è l'ampliarsi degli interessi formali degli artisti, che arriveranno a comprendere, in un eclettismo sempre più dichiarato, il Rinascimento italiano e, a ritroso, il Medioevo gotico e romanico, il calco diviene elemento decorativo, in grado di caratterizzare lo spazio che lo contiene, e finisce per acquisire un valore pittorico, frutto del gusto già irrazionale e romantico per l'antico, non più tramite di lucidi e razionali modelli estetici.

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